Sabato pomeriggio. Pioggia battente. Alle porte della stazione di Rimini c’è un arcobaleno che sta nascendo. È fatto di ombrelli. Nasce dalla consapevolezza, nasce dal desiderio di sentirsi umani.
Potrebbe essere l’inizio di un film e se ne fossi stato io il regista quel corteo lo avrei fatto partire proprio sotto la pioggia. Una Rimini grigia che piange sui suoi ospiti dimenticati e sui suoi figli inascoltati, ma poi… poi si aprono gli ombrelli. Sono tanti, colorati, mettono allegria. Non sono senz’anima come i colori pop degli arroganti, sono un’inconsapevole operazione di marketing con una devastante carica d’umanità.
Gli ombrelli si muovono, nascondono sorrisi sotto di loro e sono temuti per quello che rappresentano, non per la violenza che possono scatenare, di quella non ce n’è. Si muovono per dare una casa a chi non l’ha … che violenza ci può essere in questo?
E’ una festa. Lo sanno tutti. Lo sa la Polizia che si mette a diga di deviazioni che nessuno vuole prendere, lo sa chi sbircia sotto gli ombrelli e lo sa anche chi guarda dalle finestre il fiume colorato che si riversa per le strade di Rimini. E’ un brulichio di anime, di nazioni, di condizioni, di religioni, di convinzioni, di acconciature e di orecchini piazzati ovunque si può aprire un buco … è l’umanità che avanza. L’umanità che chiede di essere libera di riconoscere e di essere riconosciuta. Davanti a tutti, a tenere il vessillo di questa rivendicazione, un angelo con lo sguardo azzurro come il cielo e il segno di una manganellata sotto l’occhio sinistro. E’ un’immagine di feroce bellezza che fa mancare un battito al cuore.
In seguito la valanga di ombrelli tentenna, la testa si stacca per un momento e la musica Reggae si affievolisce allontanandosi in una strada laterale, un luogo dove non era previsto vedere del colore. A pensarci bene però la scelta non poteva essere differente, gli ombrelli si fermano in uno dei posti più grigi di Rimini. Il cielo fa un sospiro di sollievo, smette di piovere.
Villa Ricci quasi non si accorge dell’arrivo. Sta riposando sotto una spessa patina di polvere, dimenticata, come sono dimenticati coloro cui è destinata. Dimenticata, ma non senza memoria, anzi quella sembra fotografata. Un letto sfatto, delle tazzine disposte come per asciugare sul tavolo, un’antica stufa in terracotta, un comò con delle lacche per capelli lasciate lì. L’odore di polvere e umidità pizzica il naso, le pareti sudano malinconia. Gli occupanti, con le loro mantelline per la pioggia, sembrano fantasmi che vagano senza meta. A terra una pila di giornali. In cima alla pila Famiglia Cristiana, Febbraio 1994, prezzo 3200 lire, la defunta proprietaria apparteneva a quella strana superstizione che sostiene che “Gli Ultimi saranno i primi”.
Si fa sera. Tutti sono stanchi, ma in modi diversi. La Polizia è sfinita dal sospetto, tenuto tutto il giorno, di qualcosa che non sarebbe mai accaduta e, voglio crederci, contenta di aver lasciato il manganello alla cintura. Continuano a presidiare e a circondare, ma in qualcuno di loro scorgo curiosità per il luogo dove sono finiti tutti quegli ombrelli. Per i ragazzi la stanchezza è diversa. Si tratta di quella miscela di eccitazione e apprensione, quella di quando capisci che hai fatto una passeggiata verso qualcosa che vale la pena di ricordare. Arrivano le scope. Si decide l’assemblea.
Quello che amo più immaginare è cosa hanno detto i portatori d’ombrello, quelli più giovani, una volta tornati a casa. Immagino il loro sguardo pieno di risoluteza :“Venti persone erano senza un tetto, noi abbiamo occupato una casa abbandonata e gliel’abbiamo dato.” E dopo di fretta in camera a rielaborare e confrontarsi in chat con gli amici, magari con quelli più indifferenti, per spiegare che basta un ombrello per cambiare il mondo.
P.S. Esseri umani erano senza un tetto, ora ce l’hanno con il semplice sacrificio di una casa dimenticata da dieci anni. Se questo è illegale, anche la dignità lo è.
da Citizen Rimini – @DadoCardone