Tre giorni di socialità e iniziative per ricordare Ebere, Bafode e Romanus per tutte le persone invisibili, per immaginare un futuro libero dallo sfruttamento.
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Il 6 agosto del 2018 tre giovani residenti nella Provincia di Rimini, Ebere, Bafode e Romanus persero la vita in un incidente stradale in Puglia mentre rientravano dai campi di pomodoro. Quella vicenda costò la vita in tutto a 12 braccianti stipati nel furgoncino del caporale di turno.
Abbiamo ripetuto più volte che quelle morti non sono state il frutto del caso, ma hanno rappresentato uno dei tanti tragici eventi che vedono coinvolti troppo spesso i e le braccianti. Eventi strettamente legati alla carenza di misure di sicurezza, a condizioni di sfruttamento drammatiche, al potere dei caporali prodotti dalla filiera agroindustriale, a condizioni abitative inadeguate e precarie come quelle che si trovano nei ghetti e nelle baraccopoli.
Questa vicenda ci ha toccato da vicino perché quei ragazzi avevano fatto parte della nostra comunità e con loro avevamo condiviso pezzi della nostra quotidianità, relazioni fatte di difficoltà e di momenti piacevoli. Ma non è solo questo che ci spinge a continuare a ricordare e denunciare quell’intollerabile spreco di vite. Le tragiche circostanze in cui i tre giovani hanno perso la vita chiamano da più parti in causa il modo in cui il nostro territorio accoglie, lavora, produce, vive. Nessuno di noi può perciò sentirsi assolto.
Troppo spesso infatti ci crogioliamo nell’idea di vivere in una terra – l’Emilia-Romagna – aperta e accogliente, senza fare un minimo sforzo per chiederci se e quanto ciò corrisponda a realtà. A volte dovremmo avere l’onestà intellettuale di porci alcune domande, per quanto scomode: è davvero per tutti così idilliaca la situazione nella nostra regione? Perché allora questo territorio non ha saputo offrire un’accoglienza e un lavoro degni a questi giovani e invece li ha spinti a partire per finire nei circuiti del caporalato, nei ghetti della vergogna e nei campi dello sfruttamento nei quali hanno perso la vita? E poi, siamo davvero sicuri che anche nei territori che abitiamo non siano presenti fenomeni simili a quelli che coinvolgono le campagne del Sud Italia? La Puglia dei ghetti è davvero così lontana?
A partire da questi punti interrogativi abbiamo deciso di lanciare “People before profits. Rimini summer camp” tre giorni di campeggio, iniziative e riflessioni che, pur facendosi carico dell’esigenza di ricordare i nostri amici e fratelli, vada al di là della mera commemorazione per riflettere sul nostro presente e immaginarsi un futuro migliore.
Sappiamo infatti che anche nel tanto declamato modello emiliano-romagnolo povertà e sfruttamento sono pane quotidiano per tantissime persone. Tanti settori della nostra economia si reggono in maniera evidente su lavoratori e lavoratrici precarie e a buon mercato, italiani e migranti.
Perché allora tanta distanza tra il racconto ufficiale e la materialità delle condizioni di vita e di lavoro? Forse perché questo sistema produce non solo sfruttamento, ma invisibilità e oblio.
I meccanismi che stanno alla base della riduzione dei costi del lavoro – appalti e subappalti, caporalato, lavoro nero, ricattabilità legata alla precarietà dei permessi di soggiorno e di vita – sono anche dispositivi perfetti per marginalizzare e spingere i lavoratori in un cono d’ombra che ne maschera l’esistenza e ne smorza la voce.
Vediamo ciò che ci descrive la sfavillante retorica delle eccellenze produttive del territorio – dalla manifattura all’agroalimentare – ma non vediamo i lavoratori e le lavoratrici che lungo tutte le filiere portano sulle loro spalle i costi di un’economia di mercato tutta interessata alla competitività e poco o per nulla alla vita delle persone: così i facchini della logistica, che permettono a quelle merci di circolare, spariscono dentro ad un’intricata rete di appalti che schiaccia diritti e salari; di braccianti in Emilia-Romagna quasi nemmeno si parla, eppure periodicamente emergono casi di grave sfruttamento lavorativo o riduzione in schivitù che coinvolgono agricoltura e allevamento.
Promuoviamo i territori del turismo con campagne milionarie che hanno lo scopo di rilanciarne l’immagine, ma nascondiamo sotto il tappeto la polvere di un’illegalità endemica, di sistematiche infrazioni dei contratti collettivi e di sistemi di reclutamento opachi.
Sentiamo parlare di inclusione sociale, ci viene ripetuto come un mantra che nessuno deve restare indietro, ma il lavoro di educatori ed educatrici, OSS, infermieri/infermiere nel disastroso sistema degli appalti, fatto di precarietà, redditi miseri e condizioni contrattuali pessime, sembra non esistere.
Nemmeno la tragedia collettiva della pandemia di Covid-19 sembra aver scalfito questa dura realtà e rimesso in discussione le priorità. Ne è stata la prova la Sanatoria promossa dall’attuale Governo e inserita nel Decreto Rilancio, che anziché restituire dignità personale e diritti ai soggetti migranti continua a subordinare la concessione di diritti alle esigenze della produzione e lascia inalterati i meccanismi che generano marginalizzazione e sfruttamento in primis per quei braccianti che nei campi si spezzano la schiena e troppo spesso ci rimettono pure la vita. Ma continuiamo a vederlo nelle prese di posizione dei responsabili politici a livello nazionale e locale che cercano in tutti i modi di cancellare con un colpo di spugna ciò che è avvenuto negli ultimi mesi con l’emergenza sanitaria e a dissimulare le mille fragilità che questi eventi hanno fatto emergere. Nonostante tutto si persevera nel voler anteporre le ragioni del PIL a quelle della salute e della dignità. E l’orizzonte di crisi che si sta delineando rischia di inasprire ulteriormente le pressioni al ribasso su diritti e condizioni di lavoro.
Per queste ragioni oggi è importante ricordare Ebere, Bafode, Romanus e, insieme a loro, tutti i e le braccianti, i lavoratori e le lavoratrici morti di invisibilità e sfruttamento.
Ma la loro vicenda ci consegna molto di più della responsabilità del ricordo, attribuendoci quella della lotta per il cambiamento. Lo dobbiamo a loro, lo dobbiamo a tutte e tutti noi.
See you in Rimini!
See you on the barricades!
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