Pubblichiamo di seguito due contributi sui fatti di Treviso e Roma. Esprimiamo massima solidarietà e vicinanza ai compagni e alle compagne dei centri sociali del Veneto che ieri a Treviso sono stati arrestati, picchiati e trascinati via dall’atrio della Prefettura, per avere manifestato pacificamente il loro sdegno contro i progrom razzisti di Forza Nuova, per un’Europa libera dai nazionalismi e dalla spinte reazionarie a difesa dell’austerity, che si stanno mostrando anche nelle nostre città. Cinque di loro sono agli arresti domiciliari e lunedì ci sarà il processo per direttissima. Chiediamo la loro liberazione immediata, è assurdo che in questo Paese chi difende i diritti e chiede il rispetto della dignità umana sia privato della libertà.
L’antifascismo non è un liturgia nè una cerimonia, è una pratica quotidiana. In questo Paese ci sono solo gli spazi/centri sociali a ricordarcelo, dal momento che i politici, soprattutto quelli del PD (quelli delle cerimonie in occasione del 25 aprile), sono gli stessi che invocano la legalità e i manganelli contro chi pratica, ad esempio, il diritto alla casa attraverso la riappropriazione di beni immobili abbandonati (si veda la vicenda del deputato riminese Arlotti e le sue dichiarazioni contro il Villino Ricci occupato) e non si azzardano a farsi sentire, figurarsi a intervenire, quando accadono episodi di questa gravità, riducendoli a manifestazioni di disagio della popolazione esasperata, senza mai prendere in considerazione che questi sono veri e propri fascismi. VERGOGNA!
“C’è un problema culturale che riguarda l’uso pubblico della storia, un razzismo che prova a darsi basi ideologiche, la crisi degli ideali sociali, la demagogia, un neocolonialismo accattone, il maschilismo ridicolo, e ancora di più la miserabile tattica politica di chi vuole guadagnare consensi con la violenza contro i poveri.”
“Fascismi”
Associazione Frantz Fanon
Rimbalza da ore sui telegiornali e sulle pagine on line dei quotidiani l’immagine della giovane Reem Sahwil:
“È spiacevole vedere come gli altri si possono godere la vita e io no”.
Solo quei politici che sono stati profondamente antifascisti avrebbero, forse, potuto raccogliere la sfida di una osservazione così profondamente autentica.
Accantoniamo Angela Merkel, che si è limitata a dare una risposta da burocrate (con tocco paternalista finale). Il problema non è che la politica “a volte” deve essere “dura”; il problema è non avere ‘profeti’ che ci governano. Una tale miopia non permette loro di vedere molto lontano…
Vivremo in società sempre più paranoiche e malate. Proteggeremo i nostri confini e le nostre case. Gli altri alla fine verranno con rabbia, perché “è spiacevole” (ci dicono) vedere come si possa godere la vita per esclusione e sempre a scapito.
Non tarderanno ad arrivare quanti vorranno soltanto prendere quanto ritengono spetti loro di diritto, dopo generazioni di sofferenza, privazione e sfruttamento.
Arriveranno tempi bui.
In Italia li stiamo già vivendo. Le barricate, gli incendi, i cittadini che alzano il saluto romano con orgoglio per scacciare 19 richiedenti asilo dal loro territorio … ci interpellano: c’è “un problema culturale che riguarda l’uso pubblico della storia, un razzismo che prova a darsi basi ideologiche, la crisi degli ideali sociali, la demagogia, un neocolonialismo accattone, il maschilismo ridicolo, e ancora di più la miserabile tattica politica di chi vuole guadagnare consensi con la violenza contro i poveri”. C’è fascismo in Italia (e non solo), e parla un linguaggio che non fatichiamo a riconoscere. Che non dovremmo faticare tutti a riconoscere.
“A Roma e Treviso sono stati episodi di fascismo”
Christian Raimo – Internazionale.it
“I politici, anche quelli che meritoriamente vanno a rendere omaggio alle Fosse ardeatine o twittano il 25 aprile per la Liberazione, non si azzardano a farsi sentire, a intervenire quando accadono questi episodi – e lasciano che a fornire un’interpretazione di quello che succede siano personaggi impresentabili come Simone Di Stefano, vicepresidente di CasaPound, o Matteo Salvini.”
Ieri e oggi dei gruppi – gruppuscoli – di persone hanno protestato in provincia di Treviso e a Roma contro la decisione di accogliere alcune decine di profughi nelle strutture messe a disposizione dal Ministero degli Interni: hanno improvvisato dei roghi di mobili e blocchi stradali, hanno tirato dei sassi contro i migranti, hanno provato a forzare i cordoni di protezione della polizia. Non erano più di un centinaio in entrambi i casi, molti appartenevano a CasaPound.
I mezzi di informazione hanno parlato di “esasperazione”, di “guerra tra poveri”, di “comitati spontanei di cittadini”, di “rabbia”. I politici hanno commentato con le dichiarazioni prevedibili. Matteo Salvini ha detto: “Accoglieteli in prefettura o a casa vostra, se proprio li volete”; il responsabile sicurezza del Partito democratico, Emanuele Fiano: “Il governo e la maggioranza sono impegnati con l’Europa e con le proprie forze per accogliere chi richiede asilo in Italia fuggendo da paesi dove è sottoposto a persecuzioni o a rischio di morte ed è contemporaneamente al lavoro per rimpatriare chi si trova in condizione di clandestinità”.
Basta dare un’occhiata ai filmati per vedere i manifestanti che urlano insulti o che alzano il braccio destro per fare il saluto romano e capire una cosa semplice: questi sono stati due episodi di fascismo e squadrismo.
Eppure quasi nessuno lo dice, sembra un anacronismo, una forzatura o addirittura un insulto. E si preferisce, nei migliori dei casi, parlare di destra reazionaria o al massimo di xenofobia. Non si pensa che a contrastare i manifestanti fascisti possa essere usata una chiara motivazione antifascista e la rivendicazione di valori e regole democratiche; al massimo si fa appello al senso di solidarietà, al rispetto, al dovere morale dell’accoglienza.
Perché non si usano le categorie del fascismo e dell’antifascismo? Eppure ogni volta che a scuola si leggono – come per esempio nella Marcia su Roma e dintorni di Emilio Lussu – le cronache dei primi anni venti italiani, gli assalti delle squadracce ai luoghi della democrazia (le sedi dei sindacati, le università, i comizi…) – ci si rende conto facilmente come funziona l’accreditamento e la diffusione del fascismo: lo si sottovaluta, lo si riduce a questione di ordine pubblico, si delegittima il contrasto antifascista.
Lo stesso accade oggi. I politici, anche quelli che meritoriamente vanno a rendere omaggio alle Fosse ardeatine o twittano il 25 aprile per la Liberazione, non si azzardano a farsi sentire, a intervenire quando accadono questi episodi – e lasciano che a fornire un’interpretazione di quello che succede siano personaggi impresentabili come Simone Di Stefano, vicepresidente di CasaPound, o Matteo Salvini.
A rivendicare l’antifascismo rimangono quelli che – per l’assenza della politica e per la derubricazione poliziesca della questione – sono “gli attivisti”, come quelli che ieri sono stati sgomberati a Treviso dopo aver messo su un presidio di solidarietà ai migranti.
E invece sarebbe molto utile leggere proteste di questo tipo alla luce di categorie come il fascismo. Ci si vedrebbe dentro un’idea di nazione mai maturata democraticamente, un problema culturale che riguarda l’uso pubblico della storia, un razzismo che prova a darsi basi ideologiche, la crisi degli ideali sociali, la demagogia, un neocolonialismo accattone, il maschilismo ridicolo, e ancora di più la miserabile tattica politica di chi vuole guadagnare consensi con la violenza contro i poveri.
Stigmatizzare il degrado civile di queste proteste in nome dell’antifascismo servirebbe a ribadire che la politica è di fatto anche educazione, e che spesso solo attraverso quest’opera di contrasto possono avvenire le grandi trasformazioni sociali.