L’allevamento intensivo che porta la Valmarecchia indietro di 50 anni. Mobilitiamoci!
Il progetto di allevamento avicolo Fileni della Cavallara sta facendo molto discutere, in Valmarecchia ma non solo. Tante sono le voci che si stanno pronunciando contro la sua realizzazione e noi non possiamo che unirci al coro. Si tratta infatti di un’operazione che non può lasciare indifferenti vista la sua portata: 16 capannoni in grado di ospitare fino a 800.000 polli all’anno. Un’enormità.
Le ragioni di chi si oppone dovrebbero essere ormai patrimonio collettivo, eppure è ancora necessario discuterne e batterci perché la politica ne tenga conto quando prende le sue decisioni. Già, perché dietro progetti di questo genere ci sono sempre delle chiare responsabilità politiche, in questo caso diffuse lungo tutta la catena amministrativa che va dalla Regione Emilia-Romagna al Comune di Maiolo.
Sui rischi ecologici e sanitari degli allevamenti intensivi non ci dovrebbe nemmeno più essere bisogno di pronunciarsi. A maggior ragione dopo una crisi pandemica in cui tutti abbiamo imparato a prendere confidenza con espressioni come “zoonosi” o “spillover” e quando da più parti si mette in guardia proprio dai maxi-allevamenti avicoli, che potrebbero diventare l’incubatore del prossimo virus (focolai di influenza aviaria qua e là sono già presenti…).
Chi cerca di minimizzare lo fa sostenendo che in fondo si tratterà di un allevamento biologico. Siamo consapevoli dell’ambiguità di questi termini in un sistema agroalimentare sempre più industrializzato e dominato dalle catene della GDO, in grado di fagocitare qualsiasi istanza di rinnovamento e piegarla ai propri scopi commerciali. Purtroppo, anche una parte della produzione biologica è andata incontro a questo destino. L’industrializzazione del “bio” ha svuotato quest’ultimo di ogni valenza etica e trasformativa, trasformandolo in una nicchia di mercato basata sulla miope applicazione di regole tecniche di corto respiro, incurante degli impatti complessivi sul paesaggio, sugli ecosistemi e sulle comunità. Così, paradossalmente, persino un allevamento intensivo può essere… biologico. Quasi una contraddizione in termini, ma l’industria fa miracoli e pur di vendere riesce a tenere insieme il diavolo e l’acqua santa.
Per quanto ci riguarda, da anni siamo impegnati nella promozione di modelli di produzione e consumo alimentare rispettosi della terra e delle persone. Lo facciamo concretamente, promuovendo nel piazzale liberato antistante al nostro spazio, per esempio, il mercato “I custodi del cibo” che settimanalmente, tutti i Mercoledì pomeriggio, cerca di sostenere le piccole realtà agricole del territorio e offre la possibilità di consumare cibo che non solo è biologico, ma locale, fresco, di qualità. Dietro a tutto ciò c’è una visione chiara e la consapevolezza che le filiere alimentari possono essere giuste sul piano ecologico e sociale solo se strettamente ancorate al territorio e ai bisogni dei suoi abitanti, se sono portatrici di una vocazione agro-ecologica, se tengono conto delle esigenze degli agricoltori garantendogli un reddito adeguato, se si fanno promotrici di un rapporto equilibrato tra città e campagna. Tutto il contrario di ciò che l’allevamento della Cavallara rappresenta.
Per questo la nostra contrarietà al progetto non è il frutto di un’astratta solidarietà agli abitanti dei Comuni interessati, ma nasce dalla consapevolezza che anche noi siamo direttamente coinvolti e chiamati in causa. La qualità della vita in città è strettamente legata alle sorti del suo entroterra e alla qualità dei suoi ecosistemi, la possibilità di consumare cibo sano e fresco connessa alle modalità in cui è organizzata la produzione agricola di prossimità. Siamo tutti legati dallo stesso filo rosso. Per questo non possiamo che unirci al fronte di chi si sta opponendo all’opera, offrendo il massimo sostegno e la piena solidarietà al comitato per la Valmarecchia.
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