CONSIGLIO TEMATICO SULLA PROSTITUZIONE A RIMINI
Appunti di un giovedì sera in Consiglio Comunale
Era stato proposto simbolicamente nella data dell’8 Marzo il Consiglio tematico per affrontare il tema della prostituzione a Rimini, svoltosi invece giovedì sera. Richiesto dalla consigliera di opposizione Gloria Lisi, ex vicesindaca ora in coalizione con il Movimento 5 Stelle, con la volontà di riflettere “sulle tante donne schiavizzate all’interno di quella che a partire dagli anni ’80 è diventata una vera e propria industria mondiale della violenza contro le donne povere, alimentata dalla cultura del patriarcato e della mercificazione del corpo femminile. Donne di cui mai si parla proprio nella giornata dedicata alle donne”, lo scopo dichiarato della discussione era quello di spingere nella direzione del sostegno al Ddl Maiorino e di “illustrare il modello abolizionista nordico come proposta valida per sconfiggere l’aberrante fenomeno dello sfruttamento delle donne”.
Tante le esperte invitate a parlare (tra cui segnaliamo positivamente in particolare gli interventi di Giulia Garofalo Geymonat che abbiamo riportato qui e di Maria Milli Virgilio) e molto sentiti e misurati anche gli interventi dei Consiglieri e delle Consigliere che si sono succeduti al microfono, per una seduta che è durata oltre le quattro ore.
Pur non essendo state invitate a prendere parola, come attiviste transfemministe abbiamo voluto essere presenti anche noi in Sala consiliare, per ascoltare e monitorare quanto sarebbe stato detto ma soprattutto per portare da alleatə una voce diversa, spesso inascoltata: quella delle dirette interessate, ossia delle sex worker, e quella dei comitati per i diritti civili delle prostitute. L’abbiamo fatto con dei messaggi scritti su dei cartelli rossi e depositati all’esterno del Consiglio comunale.
Quello sulla prostituzione (o sex work, che è semplicemente il nome inglese per descrivere in generale il fenomeno del lavoro sessuale in qualsiasi sua forma, non implicando una distinzione fra tratta e lavoro consensuale come più volte abbiamo erroneamente sentito dire sia da consiglieri di maggioranza sia di minoranza) è come sappiamo un argomento divisivo all’interno del femminismo, le posizioni si sono polarizzate attorno agli slogan “Sex work is work” e al suo opposto “Sex work is not work”, tant’è che persino alla Fiera dell’Editoria delle Donne di Roma è stato recentemente annullato un dibattito che doveva svolgersi su questo tema. Discuterne a partire dai dati e senza incorrere in bias cognitivi legati alla propria esperienza o a quella delle sex worker o ex sex worker incontrate nel proprio attivismo, alla propria percezione della sessualità, dell’inviolabilità del corpo, ai princìpi morali e religiosi della cultura di appartenenza, è estremamente difficile. Alle strumentalizzazioni ideologiche si aggiungono poi quelle politiche, che complicano spesso le cose.
Certamente non ci aspettavamo una risoluzione di questo annoso dibattito nella sede del Consiglio comunale di una città provinciale come Rimini, cosa infatti non avvenuta! Riteniamo che sia stato comunque importante discuterne soprattutto nella misura in cui si è provato a coinvolgere tutti o quasi i diversi posizionamenti sul tema.
Cosa dire dunque del dibattito che è emerso? Vorremmo segnalare giusto alcune cose.
Di positivo c’è che finalmente si è iniziato ad affrontare l’argomento della prostituzione non come un problema di ordine pubblico, ma come fenomeno sociale. Questo almeno a parole, dato che nella pratica negli ultimi anni il nostro Comune si è contraddistinto nell’approvazione delle cosiddette ordinanze anti-prostituzione, che possono essere firmate dal Sindaco per motivi di ordine pubblico contingibili e urgenti. Talmente contingibili e urgenti che vengono riproposte ogni estate, dopo la decade Gnassi, dal suo successore Jamil Sadegholvaad, multando sia la prostituta sia il cliente con lo scopo di allontare la prostituzione dalle zone più centrali della città ed eliminare il “degrado” agli occhi dei turisti. Ordinanze che, vogliamo ricordarlo, sono state impugnate e giudicate incostituzionali in diverse città in cui erano state applicate, dato che per legge la prostituzione non è un reato mentre ciò che è punibile è lo sfruttamento e il favoreggiamento.
Ci impegneremo dunque a monitorare affinché alle parole seguano i fatti e non siano più proposti nella nostra città strumenti amministrativi che di certo non guardano nella direzione della tutela delle donne e delle diverse soggettività che praticano sex work, obiettivo questo che è stato ribadito in maniera programmatica a conclusione del Consiglio comunale dall’assessore alle politiche sociali Kristian Gianfreda. Chiediamo dunque anche alle figure istituzionali che si sono espresse nella direzione dell’abbattimento dello stigma che colpisce le sex worker, in particolare alla Vicesindaca con delega alle politiche di genere Chiara Bellini e ai Consiglieri Marco Tonti ed Edoardo Carminucci, di vigilare assieme a noi affinché tali misure non siano più introdotte e venga rispettata la dignità e la libertà d’espressione delle lavoratrici e dei lavoratori che commerciano il sesso in strada.
A questo proposito vogliamo ricordare anche le strizzate d’occhio che l’amministrazione aveva rivolto negli anni passati ai comitati dei cittadini delle zone di Miramare, Rivazzurra e Bellariva che si erano fatti promotori delle briscolate in strada contro le “lucciole”. Crediamo sia giunto il momento di rifiutarsi di trattare il fenomeno nei termini della sicurezza e del decoro urbano e pensiamo che la soluzione ai problemi di convivenza e di quiete pubblica si possa trovare nell’applicazione di modelli (come ad esempio quello dello zoning, più volte citato) capaci di mettere in rete i comitati che si occupano dei diritti delle prostitute, le forze dell’ordine, la cittadinanza, le istituzioni e le associazioni che operano sul campo.
Altra nota positiva, l’ammissione di “incompetenza” e la volontà di mettersi all’ascolto, sospendendo il giudizio, da parte di tanti Consiglieri e Consigliere e la percezione generalizzata che si trattasse di un argomento complesso, la cui complessità andava mantenuta e non semplificata.
Positivo il fatto che nella maggior parte degli interventi si sia partiti dai dati, che nella nostra città testimoniano, secondo quanto riportato dalla Cooperativa Cidas che nell’ultimo anno si è occupata del progetto di unità di strada per la prevenzione sanitaria “Progetto Cabiri@” in collaborazione con l’Associazione Rumori Sinistri che si è occupata invece del Punto d’ascolto presso gli spazi di Casa Madiba, presenze in strada poco significative durante l’inverno che aumentano invece d’estate, per una media di 30 presenze rilevate a settimana, in estate anche 50.
Si tratta per la quasi totalità di persone migranti dal Sud America e per oltre il 70% dei casi di persone transgender (in pochi casi crossdresser). Si è sottolineato il fatto che si tratta di persone marginalizzate, con una molteplicità di problematiche connesse fra loro (senza casa o in precarietà abitativa, senza documenti in regola, con dipendenze da alcol e sostanze) e di come la prostituzione sia per queste soggettività l’unica possibilità lavorativa e di autodeterminazione per sopravvivere in un sistema neocapitalista e discriminante sulla linea della razza, del genere e della classe com’è il contesto attuale.
Per quanto riguarda l’applicazione del modello nordico o neo-proibizionista (vigente in Svezia, Norvegia e Francia) o del modello tedesco che ha regolamentato la prostituzione, sono stati presentati dati discordanti che testimoniano la volontà politica di spingere in una direzione piuttosto che nell’altra. Il modello nordico sembra non aver diminuito affatto né la tratta né il numero dei femminicidi ma anche il modello tedesco ha presentato diversi limiti.
Noi crediamo che la politica debba occuparsi di gestire i fenomeni sociali e le loro conseguenze (la salute pubblica, ad esempio) senza però interferire in maniera moralistica con le libertà individuali in merito all’uso che si vuole fare del proprio corpo e della sessualità.
Noi crediamo che qualsiasi intervento debba andare nella direzione della tutela delle soggettività più fragili, offrendo delle alternative sostanziali qualora una lavoratrice manifestasse la volontà di denunciare i propri aguzzini (e quindi di fuoriuscire dalla tratta) oppure semplicemente di cambiare mestiere laddove la scelta di prostituirsi è volontaria e/o dettata dalle circostanze economiche. Andrebbe dunque potenziata la rete a sostegno dei percorsi di fuoriuscita con l’apertura di case rifugio specifiche per le diverse soggettività coinvolte nel sex work, per dare loro il tempo di ripensarsi, di acquisire nuove competenze in ambito lavorativo, di formare nuovi legami sociali, oltre a monitorare sull’effettiva applicazione di strumenti legislativi a disposizione (art. 18 ecc).
Noi crediamo che si debba lavorare in sinergia contro la stigmatizzazione che colpisce le lavoratrici del sesso, mirando piuttosto all’empowerment e all’autodeterminazione delle soggettività che vendono prestazioni sessuali così da metterle nella condizione di non subìre ricatti o prestazioni non desiderate (ad esempio, rapporti non protetti) ma aumentare la loro sicurezza e il loro potere contrattuale, aumentando di conseguenza anche la sicurezza pubblica.
Noi crediamo che non si possa risolvere il problema delle discriminazioni di genere e della violenza strutturale nei confronti delle donne e delle soggettività lgbtq+ con il proibizionismo in materia sessuale, ma con l’educazione alla sessualità e al rispetto delle differenze fin dalla giovane età, per un radicale cambiamento sociale e culturale nell’interazione fra i sessi.
Il rischio di un approccio repressivo, come sottolineato più volte, è quello di spingere questo fenomeno nell’illegalità e nell’invisibilità, mettendo ancora più in pericolo le donne cis, le donne trans* e tutte quelle soggettività che, spesso solo a parole, si afferma di voler proteggere e tutelare.
AUTODIFESA TRANSFEMMINISTA
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