Contro un sistema che produce indigenza, la prima cosa, Una casa e reddito per tuttə
Torniamo a prendere parola in un giorno non casuale ma che segna, in tutta Italia, invece la chiusura dei progetti di emergenza freddo.
“A Rimini questo significa che le persone accolte in questi tre mesi nel piano freddo – afferma Moriba Traore, operatore h24 di Casa Gallo – torneranno in strada, aumentando le fila delle 466 persone senzatetto incontrate nel 2020 dalla rete delle Unità di strada, alle quali corriamo il rischio – senza un ripensamento radicale e profondo dei servizi e delle politiche preposte – si sommino rapidamente una percentuale sempre più importante di persone in precarietà abitativa che ha trovato risposta, durante i mesi invernali, all’interno di residence e alberghi dai quali verranno sfrattati con l’arrivo della stagione estiva (il 45% degli accessi al Guardaroba solidale è rappresentato da persone in questa condizione abitativa)”.
Non possiamo dimenticare a questo proposito Arianna Tetta, giovane precaria e laureata, deceduta a seguito di un incendio nel residence dove viveva. La precarietà abitativa e lavorativa colpisce infatti tuttə e il 30 giugno prossimo, senza provvedimenti in materia, scadrà anche il blocco dell’esecuzione degli sfratti per morosità incolpevole.
“La sindemia con la quale ci stiamo confrontando da un anno a questa parte – prosegue l’operatore – non ha prodotto nulla di nuovo ma ha piuttosto messo a nudo le insufficienze del sistema attuale, su cui si sono da sempre fondate le risposte e soluzioni individuate per la popolazione dei senzatetto, considerate da sempre come una categoria omogenea, i cui membri hanno gli stessi bisogni e quindi possono essere oggetto di interventi uniformi. Ma le persone senza dimora però non sono più simili tra loro di quanto lo siano quelle che una casa ce l’hanno. Al contrario, sono gli interventi che regolano l’esperienza di vita per strada e l’accesso ai servizi (docce, dormitori, mense) che, presupponendo una certa uniformità di bisogni, concorrono ad appiattire le differenze e a riprodurre l’indigenza”.
E nel frattempo la situazione è peggiorata, sono aumentate le disuguaglianze, è cresciuto il numero di persone scese sotto la soglia di povertà assoluta (+ 1 milione solo nell’ultimo anno in Italia); sono aumentate le molteplici forme di violenza, soprattutto invisibile e istituzionalizzata, agite nei confronti dei senzatetto, comparsi nel dibattito mainstream solo dopo mesi dallo scoppio dell’emergenza sanitaria e molto spesso perché al centro di vere e proprie rappresaglie poliziesche, volte ad allontanarle dai ripari di fortuna individuati, che fossero i portici delle piazze piuttosto che l’occupazione/riutilizzo di immobili abbandonati o come accaduto anche nella nostra città, di tanti alberghi in disuso. “Ma – conclude – prima di tutto questo, si è sicuramente perso del tempo per rimodulare gli interventi sociali in virtù di quello che la pandemia ci ha mostrato, e cioè la necessità di elaborare soluzioni nuove, più idonee e che possano rappresentare un passo avanti nel superamento della logica dell’assistenzialismo e per un pieno diritto alla città e alla vita degna per tuttə”.
“Una necessità questa che resta impellente e che vogliamo continuare a sollevare anche attraverso l’esperienza e il laboratorio sociale rappresentato dall’esperienza di Casa don Andrea Gallo #perlautonomia, continua Manila Ricci, operatrice di Casa Gallo. Un’esperienza di condivisione fra operatori e operatrici sociali, persone senza tetto e attivistə/cittadinə, capace di mostrarci l’inadeguatezza di servizi e interventi improntati sui soli standard quantitativi, su logiche uniformanti che spesso escludono il punto di vista di chi, come noi, opera sul campo o vive in prima persona il problema, imponendo una legalità, che ha mostrato tutta la sua inefficacia nel momento in cui si è trattato di proteggere la salute degli abitanti e dellə operatricə dal contagio.
A questo si aggiunge il tema dei finanziamenti. “Non si può pensare di attivare percorsi di autonomia ed indipendenza efficaci finché si chiede, in nome di una razionalizzazione della spese e di una visione della povertà come colpa individuale, che sia attraverso il lavoro volontario o gratuito o sottopagato che si sostengano e mandino avanti questi progetti, lasciando operatori ed operatrici sociali in una condizione lavorativa di precarietà e povertà. Progetti impostati in questo modo, vincolati al requisito del risparmio e del minor costo possibile, continueranno ad essere incubatori di indigenza e povertà anziché rimuovere le cause che le hanno prodotte”.
Per questo mentre sono in corso gli incontri con i tecnici comunali per la rimodulazione del progetto dal punto di vista funzionale/architettonico, come da noi fortemente voluto e richiesto a seguito dello scoppio della pandemia, con l’obiettivo di mettere in sicurezza il salone dormitorio e realizzare delle camere per gli ospiti, al fine non solo di mettere in sicurezza e adeguare la struttura dopo l’emergenza sanitaria ma anche di favorire un miglioramento della qualità della vita all’interno della casa (igiene del sonno, privacy), si aggiunge un paradosso.
“Oltre ad aver dovuto fronteggiare una situazione del tutto inedita con il primo lockdown, dove nella totale assenza di protocolli e indicazioni da parte di tutto il livello istituzionale, abbiamo dovuto gestire 38 persone obbligate a condividere un unico spazio di 300mq, reperire autonomamente i DPI, redigere Protocolli sanitari, trovandoci a gestire una struttura sovraffollata e nociva, senza stanze per l’isolamento in caso di persone covid positive, con la presenza di abitanti con quadri sanitari a rischio di complicanze (per un abitante come temevamo si è reso necessario ricovero in terapia intensiva), ora ci viene richiesto da parte del Comune il pagamento delle utenze eccedenti la somma stabilita nella convenzione”.
“Una richiesta che per noi è inaccettabile, perché nasconde l’eccezionalità di un’emergenza sanitaria globale non ancora conclusasi; perché non riconosce i grandissimi sforzi messi in campo da un anno a questa parte dall’equipe tecnica del progetto e dall’assemblea di gestione della casa e che oltretutto viene avanzata a partire da consumi che sono del tutto in linea i dati di ISTAT e altri Osservatori nazionali sui consumi medi sostenuti dalle famiglie italiane dimostrando che il tetto delle utenze inserito in convenzione era del tutto inadeguato rispetto a quelli che sono i normali consumi della casa”.
“Le nostre richieste sono precise, concludono i due operatori: riconoscimento dei costi delle utenze all’interno delle spese eccezionali da noi sostenute per l’emergenza covid; riformulazione e intervento immediato sulla funzione di alcune stanze per ridurre i disagi e gli aspetti nocivi dell’attuale distribuzione degli spazi (salone dormitorio); riconoscimento del lavoro sociale attraverso istruttorie e avvisi pubblici che rispettino nella loro deliberazione il CCNL del settore in riferimento alle tabelle salariali in riferimento ai contributi economici erogati per il funzionamento del servizio. Basta istruttorie al ribasso che lasciano nell’indigenza senza tetto e operator sociali”.
Oggi dopo tanto tempo, prendiamo di nuovo parola pubblicamente. Invitiamo tuttə a farlo insieme a noi! Da oggi Casa Don Andrea Gallo e gli operatori e operatrici della casa, iscritti ad Adl Cobas, entrano in stato di agitazione.
Non è andato tutto bene e non lo andrà finché ci saranno persone costrette a pagare i costi sproporzionati di questa sindemia a partire da una condizione di povertà intrinseca a questo modello di sviluppo e di cui non sono responsabili.
Una casa per tuttə
Casa Don Andrea Gallo
Adl Cobas