Lo scorso venerdì 26 Ottobre, presso il Tribunale di Rimini, si è tenuta l’udienza nei confronti di 9 attivisti/e relativa alla contestazione dell’allora Ministra degli Interni Cancellieri.
La contestazione avveniva a pochi giorni dallo Sciopero generale transnazionale del 14 Novembre 2012, caratterizzato da manifestazioni in tante città europee contro le politiche di austerity, tagli e privatizzazioni dei governi del Sud d’Europa. In Italia, numerosi furono gli abusi messi in atto dalle forze dell’ordine intervenuti in quella giornata con l’unico obiettivo di terrorizzare e reprimere duramente le forme di dissenso agite soprattutto da ragazzi e ragazze giovanissimi, ai quali manganellate e cariche indiscriminate procurarono lesioni ai volti e alle teste. Agli abusi messi in atto in quella giornata dalle forze dell’ordine si aggiunse anche l’episodio dello sparo di alcuni lacrimogeni dal secondo piano del ministero di Giustizia mentre nella via sottostante c’erano centinaia di manifestanti.
Come se nulla fosse successo, tre giorni dopo, il 17 Novembre, la Ministra Cancellieri si trovava a Rimini, ospite d’onore di un incontro dal titolo “Democrazia, Partecipazione attiva e Legalità” al quale erano presenti oltre un migliaio tra studenti e studentesse delle classi di primo e secondo grado del territorio.
Durante l’incontro, quando il Ministro iniziò il suo intervento fu srotolato da parte degli attivisti/e uno striscione con su scritto “Stop alle violenze della polizia! Numeri identificativi sulle divise!” e alcune immagini dei pestaggi e dei violenti abusi compiuti dalle forze dell’ordine durante la giornata di mobilitazione europea del 14 novembre.
A questo fece seguito una reazione spropositata da parte dei dirigenti della Questura e dei carabinieri presenti, che con spintoni, strattonate, mani in faccia e al collo, i cui segni furono visibili ed evidenti anche nei giorni seguenti sui corpi degli/lle attivisti/e, tentarono di impedire e reprimere un’azione pacifica di denuncia. Alla manovra goffa e violenta messa in atto dalle forze dell’ordine seguì l’invito da parte della giornalista Carmen Lasorella, che presentava l’incontro, di salire sul palco per spiegare i motivi della contestazione. La reazione fu un forte appoggio e una notevole solidarietà da parte degli studenti e delle studentesse partecipanti, colpiti ed indignati delle violenze che avevano subito nei giorni precedenti manifestanti loro coetanei e che si stavano ripetendo in quel momento.
A distanza di quasi 6 anni il muro rispetto all’adozione dei numeri identificativi su caschi e divise di ordinanza da parte delle forze dell’ordine non si è ancora abbattuto. Non sono servite le morti di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Federico Aldrovandi, Davide Bifolco e di tantissimi altri, spesso giovanissimi, ammazzati dalle forze dell’ordine chi con un colpo di pistola, chi con torture durate ore.
Un emendamento al riguardo era stato presentato il 16 Marzo 2017 durante la discussione del Decreto Minniti e immediatamente ritirato per “ragioni tecniche”. Il sottosegretario Bubbico aveva promesso che l’emendamento sarebbe stato reinserito nel testo di legge quando il decreto sarebbe approdato al Senato ma ovviamente così non è stato. E ora che al ministero degli Interni c’è Salvini le possibilità sono ancora più remote: “Se devo scegliere io so da che parte stare, da quella della divisa“, un’affermazione che ha avuto un risvolto subito pratico con la firma sul Decreto Salvini che sancisce l’avvio della sperimentazione in Italia del Tazer, la pistola elettrica.
Tornando al processo in corso, entro 90 giorni il Giudice emetterà la sentenza di primo grado, dove verrà confermata la condanna per resistenza a pubblico ufficiale da parte degli attivisti/e alla quale è stata però tolta una pesante aggravante. Delle forze dell’ordine naturalmente nessuno è stato indagato.
Noi restiamo convinti che questa accusa, così come le altre che sono decadute, sia il prodotto di un’operazione chiara e lucida di criminalizzazione del dissenso sociale che si organizza anche attraverso azioni di contestazione pacifica e pubblica, un’operazione chiara e lucida di criminalizzazione del dissenso sociale – che ebbe anche grande risalto mediatico e mise in cattivo risalto gli uffici della DIGOS locale – su un tema, quello degli abusi in divisa, che ancora oggi ci parla dello stato di democrazia di un Paese che continua ad essere su questo fronte maglia nera in Europa. Paese dove frequenti continuano ad essere gli abusi delle forza dell’ordine, i depistaggi, i falsi verbali, le botte, le minacce ai danni di utilizzatori di sostanze stupefacenti, soggetti con problemi psichiatrici, homeless, extracomunitari, attivisti e militanti politici, verso le tante e i tanti che anche in questa città impegnano la loro vita nella lotta per una società più giusta e inclusiva.
Stiamo organizzando la presentazione del Vademecum legale contro gli abusi in divisa, nato dal lavoro di Alterego – Fabbrica dei diritti e Acad (Associazione contro gli abusi in divisa). A breve maggiori info.
Il video dell’azione comunicativa duramente represso e gli unici indagati sono gli attivisti e le attiviste.