Prosegue il percorso della Campagna per l’emersione del lavoro gravemente sfruttato nel turismo sostenuta dall’Ass. Rumori Sinistri e da ADL Cobas (Associazione Diritti Lavoratori).
Tanti i contatti telefonici, diversi i colloqui presso la sede dello “Sportello Diritti per tutti” a Casa Madiba.
Ci preme sottolineare alcuni elementi di novità rispetto alle precedenti campagne che danno il segno di come Riforma Fornero e Jobs act abbiano di fatto peggiorato le condizioni di tutti i lavoratori e in particolare di quelli autoctoni e maggiormente formati. Quindi anche anagraficamente più grandi dei lavoratori e delle lavoratrici incontrati nelle scorse stagioni.
Non si spiegherebbe altrimenti come mai, quest’anno, i colloqui effettuati telefonicamente durante la Campagna, siano tutti con lavoratori e lavoratrici italiani occupati con mansioni altamente qualificate. Parliamo di chef, cuochi, baristi con comprovata esperienza nel settore maturata attraverso anni di esperienza lavorativa.
Ci sembra, quindi, importante condividere gli elementi che seguono come stimolo importante per avanzare da un lato nell’inchiesta militante e dall’altro nella riflessione sulle forme dell’organizzazione. Inchiesta capace di evidenziare come la precarizzazione del lavoro e del sistema degli ammortizzatori sociali abbiano influito sul peggioramento delle condizioni materiali di lavoro e sul ricatto costante al quale è sottoposta, oggi, in particolar modo la forza lavoro qualificata del settore turismo.
Questo è avvenuto dopo anni di erosione costante dei diritti dei lavoratori e in particolare delle lavoratrici stagionali provenienti da altri paesi UE, fra i pochi ad agire un piano vertenziale e spesso anche di lotta (scioperi, presidi, manifestazioni). Dicevamo, infatti, durante la conferenza stampa di presentazione della campagna che ad una debole cittadinanza lavorativa nel paese di origine, si accompagna una debole cittadinanza lavorativa nel paese di arrivo/destinazione. Quando, sbagliando, affermiamo che è “colpa delle rumene” se nel Turismo si è arrivati a lavorare a 2/3 euro all’ora, facciamo un regalo ai padroni delle imprese turistiche e alle oligarchie finanziarie che hanno imposto le riforme del lavoro nel nostro paese e impedito lo sviluppo di politiche comuni del lavoro in Europa in tema di salario minimo, reddito e Welfare State.
Ora queste situazioni di precarietà diffusa e sfruttamento riguardano anche i lavoratori e le lavoratrici autoctoni sempre più assoggettati ad una debole cittadinanza lavorativa. Questo è il frutto della costante erosione dei diritti nel lavoro imposta dalle riforme che si sono susseguite e che rispondono – come dicevamo prima – ad un preciso disegno, ad una precisa idea di Europa, quella delle banche, dell’austerity, dei confini e del razzismo.
Per questo è importante sviluppare una riflessione sulle forme dell’organizzazione, organizzazione intesa come gli strumenti da utilizzare per contrastare le forme di lavoro gravemente sfruttato nel turismo, strumenti che fino ad ora non sono stati adeguati alla crescita di un movimento di lotta di questi lavoratori, pur in presenza di diverse esperienze innovative sia sul terreno dello sciopero e delle tensioni a sottrarsi ai dispositivi di sfruttamento, sia sul terreno delle battaglie contro la Naspi che penalizza fortemente i lavoratori stagionali, in particolare quelli occupati sei mesi all’anno, tipologia di lavoratori poco presente nel nostro territorio che ha una stagione piuttosto breve (3/4 mesi).
In questo quadro possiamo permetterci pertanto di avanzare alcune riflessioni. Alle situazioni di grave sfruttamento lavorativo si accompagna la nocività dei luoghi di lavoro e i mancati investimenti nelle infrastrutture da parte delle imprese turistiche (mezzi di produzione, stato degli edifici). Tutto questo significa anche meno lavoro per l’indotto.
Alcuni cuochi ci hanno raccontato che si sono portati pentole e strumenti da casa, oppure che non ci sono frigoriferi o fornelli adeguati. Alcune cameriere ai piani ci hanno raccontato di portarsi guanti e detersivi da casa perché non forniti dall’azienda. Altri ci hanno raccontato di spazi angusti di lavoro in particolare cucine non adeguate (mancanza di celle frigorifere, di abbattitori), altri di stanze e servizi igienici non adeguati.
Il lavoro gravemente sfruttato compromette, inoltre, anche la sfera psicofisica. Ritorna, quindi, come nel caso delle lavoratrici rumene, un peggioramento delle condizioni generali di salute: emicranie, vomito, nausea, inappetenza, insonnia, disagio nella relazione con i colleghi di lavoro, spesso visti come veri e propri aguzzini. I colloqui con i lavoratori o i loro famigliari diventano delle sedute collettive contro la depressione, dei momenti scaccia solitudine, di soggettivizzazione. È doloroso riconoscere di essere sfruttati.
Un altro elemento importante emerso è che spesso l’impiego nel turismo rappresenta per la famiglia l’unica entrata economica per cui tutti fanno molta attenzione al tema della Naspi e molti rinunciano a far valere i loro diritti per non perdere il lavoro. Emerge, inoltre, la presenza di lavoro nero e l’abuso dei voucher e il solito nero “fuori busta”. Il giorno libero è sempre virtuale, sulla carta.
Nelle prossime settimane proseguiremo con i volantinaggi, dal momento che la campagna pubblica di affissioni sta volgendo al termine. Nel frattempo continuiamo ad incontrare i lavoratori e le lavoratrici per poter improntare al meglio una risposta efficace di intervento che non si limiti a difendere i diritti individuali ma sia capace di sviluppare sentire e pratiche comuni affinché quei diritti siano rivendicati e conquistati collettivamente.
Campagna contro lo sfruttamento del lavoro nel Turismo