È passata poco più di una settimana dal terribile attentato di Suruç, in cui un kamikaze si è fatto esplodere durante la conferenza stampa dei volontari della Federazione delle associazioni della gioventù socialista, radunatisi al centro culturale di Amara per organizzare la ricostruzione di Kobanê, in cui hanno perso la vita 32 tra ragazzi e ragazze.
La reazione della Turchia non si è fatta attendere: la sera 24 Luglio oltre 20 aerei militari turchi si sono alzati in volo con l’obiettivo di bombardare alcuni depositi di armi dell’ISIS attorno al confine. Tuttavia l’attacco non si è concentrato sull’ISIS, ma ha colpito principalmente postazioni del PKK e i villaggi curdi nell’Iraq del nord.
Nonostante gli attacchi, proseguiti durante la notte e il giorno successivo, fortunatamente non abbiano mietuto vittime (pare che il Primo ministro turco Ahmet Davutoğlu avesse informato il presidente delle Regione federativa curda prima dell’inizio degli attacchi, permettendo ai guerriglieri curdi di organizzare l’evacuazione), hanno pesantemente danneggiato diverse proprietà civili tra cui abitazioni, frutteti e coltivazioni.
L’esercito turco ha continuato poi gli attacchi nei giorni successivi, sempre concentrandosi più sulla resistenza curda che sui terroristi dell’ISIS. Il comando delle YPG denuncia di aver subito diversi bombardamenti sulle loro postazioni e su quelle dell’FSA (Esercito libero siriano) nel villaggio di Zormikhar, nei pressi di Jarabulus, città occupata dal califfato nero.
Erdogan e l’AKP sono stati più volte bersaglio di accuse di collaborazione con i terroristi dell’ISIS, fornendo armi, assistenza medica e permettendone il passaggio dei confini.
Lo stesso attentato di Suruç, secondo diverse organizzazioni curde non sarebbe stato possibile senza il beneplacito e la collaborazione del governo turco.
Mentre in Kurdistan l’esercito turco, dopo aver unilateralmente posto fine alla tregua annunciata dal leader del PKK Öcalan in occasione della festa del Newroz nel Marzo 2013, continua le rappresaglie, sconfinando anche in territorio siriano, in Turchia si moltiplicano le manifestazioni di protesta contro gli attacchi nei territori curdi e l’escalation di autoritarismo dimostrato negli ultimi due mesi da Erdogan e dal suo partito, trasformato ormai in un consiglio di guerra, che sta sfruttando il vuoto di potere lasciato dalle ultime elezioni per promulgare leggi repressive e dittatoriali nel tentativo di scongiurare nuove elezioni e mantenere il comando. Alle accuse di cancellare ogni forma di libertà dei cittadini turchi, il governo ha messo in campo le forze di Polizia, con il compito di sedare ogni tipo di protesta e manifestazione con lacrimogeni, cariche e arresti.
In soli cinque giorni sono state arrestate oltre mille persone, ree di aver alzato la voce contro quello che, mascherato da lotta al terrorismo, si sta rivelando per quello che è: un attacco feroce e violento ai diversi movimenti indipendentisti curdi.
È di oggi la notizia dell’ennesima azione repressiva, attuata con lacrimogeni, acqua pressurizzata e veri proiettili, contro le famiglie dei guerriglieri di YPG e YPJ rimasti vittima degli attacchi, che si recavano alla procura di Silopi per chiedere la restituzione dei loro corpi.
La Turchia ha chiesto e ottenuto un incontro di emergenza tra i 28 membri della NATO.
In seguito alla riunione le accuse rivolte in passato alla Turchia di aver ignorato il problema della presenza dell’ISIS nei suoi territori sono state ritirate, applaudendo l’azione militare di questi giorni contro i terroristi dello stato islamico e limitandosi a una leggera “tiratina d’orecchi” per aver posto fine alla tregua con il PKK, visto che “da qualche anno si registrano dei progressi nel lavoro che mira a una soluzione politica pacifica”.
La censura di diversi siti di informazione turca, le rappresaglie della polizia e dell’esercito, gli oltre mille arresti fatti tra attivisti e attiviste e le minacce di togliere l’immunità ai membri del HDP (Partito democratico curdo che, grazie al 13% alle ultime elezioni, è entrato per la prima volta con 80 seggi nella Grande Assemblea Nazionale Turca) hanno fatto suonare un campanello d’allarme che, a differenza della stampa indipendente e di parte dell’opinione pubblica, evidentemente non è stato ascoltato dai leader dai media mainstream e dalla NATO, in particolare degli Stati Uniti, che hanno siglato con la Turchia un’accordo internazionale, ottenendo l’utilizzo delle basi militari turche per attaccare l’ISIS nei Paesi circostanti.
Resta da chiedersi se, alla NATO, qualcuno sentirà quel campanello che ormai suona da tempo, e prenderà i provvedimenti necessari a porre fine a questa guerra rivolta contro chi lotta per libertà, giustizia, dignità e democrazia, anziché contro l’ISIS e il terrorismo.
[…] Con questi attacchi l’AKP vuole punire la popolazione per via della sconfitta elettorale. In particolare le forze che si sono riunite con il movimento curdo e che hanno garantito il successo dell’HDP alle elezioni del 7 giugno – soprattutto la regione di Serhad nel Kurdistan settentrionale – devono essere punite con questi attacchi. I numerosi arresti sono parte di questa politica. Aspettarsi buonismo e ponderazione dall’AKP non sarebbe altro che ingenuità.
Al momento c’è una sola cosa da fare; è l’allargamento della collaborazione e delle solidarietà tra forze democratiche. L’obiettivo può essere solo quello di opporre la collaborazione democratica allo spirito fascista e banditesco di Erdogan. Allora come oggi tutte le forze democratiche si devono riunire con la parola d’ordine “NO PASARAN”. La resistenza non può richiamarsi solo a semplici dichiarazioni di pace, ma deve profondamente democratizzare la Turchia. Questo dovrebbe essere l’obiettivo effettivo. Per non dover ripetere quello che disse un prete durante il periodo del nazionalsocialismo “Quando vennero a prendermi non c’era più nessuno che potesse dire qualcosa”, tutte le forze democratiche si devono immediatamente organizzare e aumentare la resistenza.